AFFONDANDO (Frances Farmer)
Tu non m’hai ancor detto la verità
Dipingo il tuo sguardo in sogno
e l’affondo nella curva del tuo petto
Mi assicuri che sei piccola,
che sei ancora una lolita,
che non ti posso sfiorare
neanche con un dito o un bacio
E la colpa è tua,
non m’hai detto l’età
Tu non sai quanti giorni
a pesare la mia testa fra le mani
Tu non sai quante notti sprecate
a sognar di te,
cercando un affondo infinito
Ti vesti di colori, di amori sognati
Ti svesti in un’impossibile malinconia
Poi mi lasci da solo coi miei pensieri
E io non so davvero che fare
perché, dentro di me, comincio
a capire che sei ancora piccola,
che sei ancora una lolita
Ed allora fuggo via
tra i cieli al tramonto
Ed allora fuggo via
tra i sogni che piovono
Ed allora fuggo via
tra i papaveri in fiore
Tu non m’hai ancor detto
quanto mi ami, quanto mi odi
Tu non m’hai detto se è vero
che l’alba si tinge di rosso
quando il tuoi occhi in essa affondano
Così io resto ad aspettare
Ma rischio d’impazzire
Ed allora fuggo via
tra i cieli al tramonto
Ed allora fuggo via
tra i sogni che piovono
Ed allora fuggo via
tra i papaveri in fiore
Perché dipingo il tuo sguardo
e l’affondo nella curva del tuo petto
Perché sogno il tuo dispetto
e l’affondo nella curva del tuo petto
(Giuseppe Iannozzi)
Frances Farmer nacque a Seattle il 19 settembre del 1913. La ragazzaccia di West Seattle pagò oltre ogni misura le proprie scelte. Mentre frequentava la West High School nel 1931 vinse 100$ partecipando ad un concorso di scrittura organizzato dalla rivista di sinistra The voice of action con un saggio antireligioso God diesispirato probabilmente da Nietzsche:
Nessuno venne mai a dirmi: “Sei scema. Non esiste Dio. Ti hanno presa in
giro”. Non si trattò di un delitto. Penso che Dio morì di vecchiaia. E quando mi
accorsi che non c’era più, non ne fui scioccata. Mi sembrò giusto e naturale.
Forse perché non ero mai stata veramente entusiasta di una o un’altra
religione. Andavo al catechismo e mi piacevano le storie su Cristo e la stella di
Natale. Erano bellissime. Quando ci si rifletteva, rendevano felici e scaldavano
il cuore. Ma non le credevo. L’insegnante del catechismo parlava troppo alla
stessa maniera del maestro delle elementari quando ci raccontava di George
Washington. Storie carine, piacevoli, ma non vere.
La religione era troppo vaga. Dio era diverso. Lui sì che era reale, qualcosa
che riuscivo a percepire. Ma c’erano solo alcuni momenti in cui potevo
sentirLo. Rimanevo sdraiata in mezzo a fresche, lenzuola pulite la notte, dopo
aver fatto il bagno, dopo esseri lavata i capelli e strofinata nocchie, unghie e
denti. Allora riuscivo a restare sdraiata, completamente ferma al buio, con il
viso verso la finestra che dava sugli alberi e a parlare con Dio. “Sono pulita
adesso. Non sono mai stata più pulita. Mai sarò più pulita di così”. E, in
qualche modo, era Dio. Non ero sicura che lo fosse… solo qualcosa di fresco e
scuro e pulito.
Non si trattava di religione però. Aveva troppo di fisico. Non riuscivo a provare
la stessa sensazione durante il giorno, con le mani nella risciacquatura dei
piatti e il sole che picchiava sui tetti delle case, mettendone in risalto la
sporcizia. E dopo un po’ di tempo, perfino di notte, quella sensazione di Dio
non durò. Cominciai a domandarmi che cosa intendesse il reverendo quando
diceva: “Dio nostro padre vede cadere anche il più piccolo dei passeri. Estende
lo sguardo su tutti i Suoi figli”. Quell’affermazione mi confondeva del tutto. Però
ero certa di una cosa: se Dio era un padre, con figli, quella pulizia che avevo
provato non era Dio. Così la notte, quando andavo a letto, pensavo: “Sono
pulita, ho sonno” e andavo a dormire. Questo non mi impediva di sentirmi bene
quando ero pulita. Semplicemente sapevo che Dio non c’era. Era un uomo su
un trono, facile quindi da dimenticare.
In qualche occasione scoprii che era utile ricordarsene: specialmente quando
perdevo cose importanti. Dopo aver messo sottosopra la casa, ansiosa e
senza fiato dalla ricerca, potevo fermarmi nel centro di una stanza e chiudere
gli occhi: “Ti prego Dio, fa’ che trovi il cappello rosso con i fiocchi azzurri”.
Normalmente funzionava. Dio era diventato un superpadre che non poteva sculacciarmi. Ma se volevo una cosa abbastanza intensamente, allora poteva procurarmela.
Mi accontentai di quella spiegazione fino a che non cominciai a rendermi conto
che se Dio amava tutti i suoi figli allo stesso modo, perché si disturbava per il
mio cappello rosso, mentre permetteva che altri bambini perdessero i loro padri
e le loro madri per sempre? Iniziai a capire che Lui non aveva granché a
vedere con cappelli, gente moribonda o chissà che. Queste cose succedevano
che Lui lo volesse o no, mentre se ne rimaneva in cielo, facendo finta di non
notare. Per un po’ mi domandai perché Dio fosse una cosa così inutile. Mi
sembrava una perdita di tempo averLo, dopodiché si ridusse ogni volta un po’
di più, fino a diventare nulla.
Mi sentii piuttosto orgogliosa a pensare di aver scoperto la verità da sola,
senza aiuto da nessuno. Mi sbalordiva che non l’avessero scoperta anche le
altre persone. Dio se n’era andato. Eravamo stati giovani. Adesso però
eravamo cresciuti e l’avevamo superato. Perché non erano in grado di vedere
questa cosa? Mi sbalordisce tuttora.
Il primo premio consisteva in un viaggio in Unione Sovietica, nonostante l’agguerrita opposizione della madre partì per frequentare il rivoluzionario Teatro d’arte di Mosca. Tornò all’età di 22 anni con la pesante nomea di atea comunista.
La paura rossa all’epoca era palpabile ed esser sospettati di simpatizzare per movimenti radicali e di sinistra poteva comportare la schedatura come sovversivo. L’esecuzione capitale del 1927 di Sacco e Vanzetti dimostrava la pericolosità di tale persecuzione.
Si trasferì a New York approdando alla Paramount Pictures che le offrì un contratto di sette anni. Nel 1936 partecipò al film Rhythm on the Range e ad Ambizione. Nel 1937 sposò l’attore Leif Erickson e un famoso produttore Samul Goldwyn la impose come star.
Sul set si mostrò scontrosa, insoddisfatta dei ruoli che le proponevano: pensava di essere stata scelta solamente per la sua bellezza, non voleva assumere il ruolo di starlet. La sua vita mondana non rispecchiava i canoni decorosi richiesti ed era insofferente a tutte le mode.
Finito il contratto lasciò Hollywood per tornare a New York e al teatro. Incontrò il regista Harold Clurman e lo sceneggiatore Clifford Odets che la proposero all’Actor’s Studio. Coronò il suo sogno diventando una stella del teatro.
La Farmer intraprese una relazione con Odets che comunque tornerà dalla moglie Luise Rainer, il gruppo di produzione sceglierà un’altra attrice, abbandonandola dopo aver sfruttato la sua fama. Tornerà a Hollywood firmando con la Paramount, tre mesi l’anno per girare film. Depressa e instabile prende a consumare grandi quantità di droga. Il tempo restante lo dedicava al teatro di Broadway.
Nel 1939 iniziò il declino: la reputazione era compromessa e la Paramount le assegnò ruoli secondari. Nel 1940 a Broadway abbandona una commedia di Ernest Hemingway. Nel 1942 realizzò un film con Tyrone Power Il figlio della luna, lodata dalla critica vide annullato il suo contratto con la Paramount durante la pre-produzione di Segretario a mezzanotte per la sua evidente instabilità emotiva.
Il 19 ottobre del 1942 gli eventi precipitano. Divorzia. La borghesia di Seattle odiava l’anticonformismo, l’attivismo di sinistra di Frances. Venne arrestata durante l’oscuramento imposto dalle disposizioni belliche per guida con fari accesi. Reagì in modo insolente al poliziotto che l’aveva fermata, aveva probabilmente bevuto e si rifiutò di mostrare la patente. Venne condannata a 180 giorni di reclusione con sospensione condizionale della pena. Ottenne la libertà condizionale pagando la metà della somma dovuta, ma non versò nei tempi richiesti gli altri 250$. Una parrucchiera inoltre la querelò per averle slogato una mascella nei camerini degli studi Monogram.
L’udienza comportò un’aggravio della situazione: l’atteggiamento polemico, indisponente, gettò un calamaio in faccia al giudice, aggredì un poliziotto. Venne condannata a 180 giorni di prigione. Fuori dall’aula gridò Have you ever had a broken heart?
La stampa nazionale logicamente prese a pubblicare titoli sensazionali sulla sua storia, le foto ritraevano Frances scalciante, furiosa, tra i poliziotti. Denunciò la violazione dei diritti civili da parte della polizia ma nessuno la difese, neppure Hollywood con le sue schiere di avvocati, anzi nell’ambiente era oggetto di derisione, etichettandola come una rompiscatole. Frances riuscì ad evitare il carcere grazie all’intervento della sorella vice-sceriffo della Contea di Los Angeles. Venne internata nel reparto psichiatrico della Massachsetts General Ospital dove la curarono con la moderna terapia insulinica per almeno 90 volte. Frances era la paziente ideale per la psichiatria americana. Eliminare le sue idee politiche inconcepibili, i suoi comportamenti anti sociali aveva una valenza politica.
Dopo nove mesi di degenza andò a vivere dalla sorella Rita. In seguito si trasferì dalla madre Lillian Farmer che si oppose ad ogni tipo di terapia. Aggredì fisicamente la madre che la fece ricoverare in una clinica psichiatrica, le venne diagnosticata la schizofrenia e sottoposta ad un ciclo di elettroshock. L’anno successivo nell’estate del 1944 la dichiararono guarita. Dimessa dall’ospedale, durante il viaggio con il padre per incontrare la zia in Nevada, fuggì e scelse di vagabondare ad Antinochia, California.
Da tutto il paese arrivarono proposte di aiuto che rifiutò. Dopo aver trascorso del tempo con la zia in Nevada tornò dai genitori. All’età di 32 anni nel maggio del 1945 la madre la fece dunque internare nel manicomio del Western State Hospital per 5 anni. In quel periodo le violenze furono disumane. Rimase in isolamento, con la camicia di forza. Legata al letto venne violentata dagli inservienti che inoltre la venderono come prostituta ai militari della base vicina. Uno dei ricordi più vividi di alcuni veterani della clinica era la vista di Frances Farmer immobilizzata dagli inservienti e violentata da bande di militari ubriachi. Usata come cavia per la sperimentazione di farmaci come la torazina, stelazina, mellaril e prolixin, fu sottoposta a bagni gelati, morsa da topi, picchiata, lobotomizzata. Walter Freeman, ideatore della lobotomia transorbitale (operazione che consiste nel recidere le connessioni della corteccia prefrontale dell’encefalo al fine di modificare completamente la personalità) fu il dottore che la operò. La sua diagnosi era psicosi maniaco depressiva indice di definita demenza precoce.
Parlando delle terribili esperienze in seguito disse :
“Non lasciarti mai
consolare dalla convinzione che l’orrore sia
finito, perché esso incombe ancora oggi
enorme e minaccioso come ai nefasti tempi
del manicomio. Ma devo riferire gli orrori
come li ricordo, nella speranza che qualche
movimento che agisce per il bene
dell’umanità possa essere spronato a liberare
definitivamente le sfortunate creature che
sono ancora imprigionate nelle corsie
posteriori di putride istituzioni”
Il 23 marzo 1950 tornò a casa della madre anziana che aveva bisogno d’assistenza. Cominciò a lavorare in una lavanderia del Fairmont Olympic Hotel a Seattle l’albergo ove aveva alloggiato durante le riprese del film Ambizione. Contrasse un breve matrimonio con l’operaio Alfred H. Lobley. Nel 1954, si trasferì a Eureka in California dove svolse il lavoro di segretaria e contabile in uno studio fotografico. Nel 1957 sposò Zeland Mikesell a San Francisco. Un giornalista la rintracciò mentre lavorava come portinaia. Pubblicò indugiando nei particolari la sua terribile storia. Nel 1958 dopo 15 anni tornò a girare un film e in teatro. Le offrirono numerose apparizioni nei talk show, la morbosità del pubblico era esponenziale. Lavorò per cinque anni in tv presentando il Frances Farmer show fino al licenziamento nel 1964, quando l’alcolismo cronico risultò ingestibile. Per due volte subì l’arresto per guida in stato di ebbrezza e per attività commerciali fallite.
Prima di morire di cancro nel 1970 a 57 anni scrisse un’autobiografia Will there really be a morning?
La reazionaria e bigotta America degli anni ’40 aveva perseguitato Frances per le sue ideologie, distruggendola come attrice e soprattutto come donna. Non era stato il mero star system a condurla all’autodistruzione bensì il diniego della società omologata. In soli sei anni a 27 anni aveva interpretato 18 film e 3 commedie di Broadway, 30 programmi radiofonici e 7 produzioni teatrali in compagnie stabili. La libertà di pensiero di una donna bella, intelligente, indipendente, non era consentita.
Nel 1982, venne girato un film basato sulla sua vita interpretato da Jessica Lange ed intitolato Frances, con Graeme Clifford come regista.
I riferimenti nel mondo della musica a Frances Farmer sono tanti, per citarne alcuni la grande cantante francese Mylène Farmer (all’anagrafe Mylène Gautier) ha scelto il suo nome d’arte in onore alla famosa attrice e infine i Culture Club le dedicano nel 1984 il singolo The Medal Song tratto dal loro terzo album Waking up with the house on fire.
Tratto da Le canzoni dei Nirvana -commento e traduzione dei testi- Giulio Nannini
Frances Farmer Will Have Her Revenge On Seattle (il titolo lungo è una volontaria scelta di Cobain per dissociarsi dalla tendenza diffusa nei gruppi alternativi di titolare le canzoni con parole brevi e immediate) è dedicata a una delle eroine tormentate che più avevano toccato il cuore di Cobain: l’attrice Frances Farmer.
Partendo dalla demistificazione di Seattle come luogo perfetto, Cobain sposta l’attenzione sulla presenza di giudici e capi di stato, per lui ancora oggi “seduti nelle loro belle e fottute case”, organizzati in una struttura che li vede cospirare contro chi potrebbe risultare pericoloso.
“Sono riusciti a rinchiuderla in un manicomio, farle una lobotomia. Mentre era là, veniva violentata ogni notte e doveva mangiare la propria merda. Venne additata come comunista per avere scritto a 14 anni una poesia intitolata “Dio è morto”. Da quando aveva 14 anni a quando divenne una star, continuarono ad arrestarla senza alcuna ragione e rovinarono la sua reputazione scrivendo enormi menzogne sui giornali (il riferimento è al diffamatorio articolo della Hirschberg). Alla fine divenne pazza, si trasformò in una dipendente da barbiturici e sedativi e divenne un’alcolizzata. Le fecero una lobotomia e finì a fare la cameriera al Four Season… e alla fine morì”.
Secondo Cobain molti accusatori si trovano ancora oggi a Seattle e il verso “nella sua falsa testimonianza / Speriamo che tu sia ancora fra noi”, si riferisce all’articolo pubblicato dalla Hirschberg su Vanity Fair [che attaccava duramente Cobain e Courtney Love bollati come genitori irresponsabili e eroinomani NdR].
Nel verso “vedere se galleggiano o affogano” tornano le prove per accertarsi della stregoneria di Serve the servants.Il testo si conclude con un’immagine di riscatto e vendetta personale: “Tornerà come fuoco / per bruciare tutti i bugiardi / e lasciare una coltre di cenere sul terreno”.
Le cose che sulla carta potrebbero dare felicità a una persona -successo e ricchezza- si rivelarono nella storia della Farmer come fonti di distruzione. Per analogia, lo stesso successo che lo aveva ormai travolto portò Cobain a un’amara constatazione: l’assenza del conforto dell’essere tristi. Il sottile riferimento personale e la sensazione di un’immedesimazione di Cobain (la stessa tecnica diffamatoria usata per la Farmer la stavano subendo lui e la sua famiglia) si pongono comunque ai margini. Il suo obiettivo è riportare in vita la storia di Frances Farmer, diffonderla a chi ancora non la conosce, come un avvertimento del tipo “potrebbe capitare anche a te se non stai attento” (sopratutto se consideriamo che la vicenda è abbastanza recente), oltre ovviamente a una denuncia dell’intolleranza e della burocrazia.